Il 17 aprile il Presidente dell’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali ha indirizzato una comunicazione al Ministro della Giustizia, On. Bonafede (la trovate qui). Non è la prima volta - e a voler essere realisti probabilmente non sarà nemmeno l’ultima – che il Garante solleva dubbi rispetto a provvedimenti e iniziative dell’esecutivo e/o della PA, sottolineando potenziali criticità dal punto di vista della privacy e, alla base, il mancato coinvolgimento del Garante a livello preventivo. Ricordiamo in particolare il messaggio critico dell’Autorità alla vigilia dell’applicazione della fatturazione elettronica (disponibile qui). Antonello Soro ricorda come prevenire sia meglio che curare, e quindi come l’approccio corretto sia quello di coordinarsi con il Garante durante la progettazione delle iniziative, in modo da evitare la necessità di successive revisioni e relativi imbarazzi. Ma quali sono i macro-temi sollevati dal Garante? Riguardano la scelta della piattaforma e dell’applicativo da indicare, ai fini della celebrazione da remoto del processo penale. Si tratta essenzialmente degli strumenti di videoconferenza. Il Ministero della Giustizia avrebbe individuato un fornitore di servizi con sede negli Stati Uniti – Microsoft Corporation – in apparenza senza i necessari approfondimenti sui dati che sarebbero conservati e/o accessibili da parte del fornitore, così come sugli aspetti di trasferimento internazionale dei dati che la scelta di un soggetto basato negli Stati Uniti inevitabilmente solleva. Non si tratta affatto di questioni marginali. La normativa ed in particolare l’arcinoto GDPR, considera i dati relativi a condanne penali e reati (inclusa l’esistenza di un processo a carico di un soggetto e connesse misure di sicurezza) come meritevoli di un livello particolarmente alto di tutela. Attendiamo la risposta del Ministero per capire se e quali valutazioni fossero state fatte. Avv. Cosetta Masi
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L’emergenza sanitaria in corso sta diventando, e per alcuni già è diventata, un’emergenza economica. Lo è per le famiglie, ma lo è anche per le strutture educative come scuole e asili, che devono fare i conti con una chiusura forzata. Anzi, sono stati i primi a chiudere, quindi i più penalizzati.
La loro chiusura, d’altra parte, ha comportato la necessità per molte famiglie di ricorrere a costose baby sitter o addirittura ad interrompere attività lavorative per accudire i figli. L’interrogativo che ora molti si pongono è se si debba continuare a pagare la retta di asili e scuole anche in periodo di chiusura o se ci si possa ritenere esentati dall’onere di pagamento. La questione è una delle più dibattute: basti pensare che attualmente il servizio Striscia la notizia del 24 marzo 2020 su questo argomento è il terzo più visto sul sito del programma. È intervenuto anche il Codacons ritenendo non dovute le rette per i periodi di mancata erogazione del servizio, e molte associazioni rappresentative delle strutture educative hanno invitato gli operatori a praticare consistenti sconti sulle rette dei mesi di chiusura. Ma dal punto di vista giuridico? Cosa siamo tenuti a fare? Il contratto che lega le famiglie alle istituzioni educative è un contratto di somministrazione di servizi, e nella maggior parte dei casi prevede una prestazione educativa unitaria e continuativa nell’arco dell’anno scolastico: non c’è quindi una precisa frammentazione mensile della prestazione educativa. Di contro, il costo del servizio è unitario, solo frazionato in una decina di rate mensili per ragioni di sostenibilità per le famiglie. L’epidemia in corso, del tutto imprevedibile al momento della sottoscrizione del contratto e sulla quale né le scuole né le famiglie hanno responsabilità, è da inquadrarsi nel caso fortuito, che rende la prestazione educativa impossibile. Tenere aperto un asilo sarebbe infatti del tutto illegale. Tale impossibilità sopravvenuta garantisce alle famiglie la possibilità di pretendere una riduzione del prezzo. Ma di quanto? Abbiamo detto che il frazionamento mensile della retta è solo una rateazione e non è il costo del servizio per il singolo mese. Conferma di questo è che difficilmente un asilo ammette un bambino in classe solo per un mese, anzi spesso si ammette l’inserimento "in itinere" solo durante i primi mesi dell’anno scolastico, e talvolta, in tali casi, la struttura richiede comunque una minima contribuzione anche per il periodo prima dell’inserimento anche se il bambino non ha frequentato. Per quantificare la riduzione dovremo quindi prendere a parametro l’intero ammontare della retta annuale, e praticare una riduzione che tenga conto di tutte le esigenze finanziarie cui va incontro la struttura per l’erogazione del servizio. Ci sono costi, infatti, che non diminuiscono anche se la struttura rimane chiusa: pensiamo all’affitto o all’IMU sull’immobile. Altri costi invece diminuiscono, come per esempio quelli per lo smaltimento dei rifiuti, o per la retribuzione del personale (non tutto, infatti, è coperto dalla cassa integrazione). Altri costi, al contrario, non ci sono più, come i consumi di materiale didattico e quelli energetici, il servizio di ristorazione, e altri. Appare quindi soluzione corretta quella di dividere idealmente la retta annuale in due parti: costi fissi e costi variabili, e ridurre la sola parte di costi variabili in funzione della lunghezza del periodo di chiusura. L’intero importo così ottenuto sarà quindi da rateizzare anche in ragione delle somme già pagate in corso d’anno. La scelta proposta dal Codacons di non pagare nemmeno in parte la retta per i mesi di chiusura non sembra rispondere alla logica sopra descritta. Risponderebbe invece a una lettura meramente economica e utilitaristica del rapporto con la struttura educativa, che spesso non persegue finalità di lucro; ciò, però, confligge con alcuni principi fondamentali del nostro ordinamento fra cui quello di correttezza e buona fede nell’interpretazione del contratto e quello, consacrato anche nella Costituzione, di solidarietà economica e sociale. La scelta di molti asili di ridurre la retta dei mesi di chiusura di una percentuale considerevole appare invece più appropriata. Avv. Giacomo Michieli Nel sito del Ministero dell'Interno è comparsa la quarta versione del modello da utilizzare per l'autodichiarazione da rilasciare agli agenti di Polizia in caso di controllo.
"Sono state fatte ironie" ha commentato il Capo della Polizia Gabrielli, ma ha chiarito che la modifica si è resa necessaria per aggiornare il modello alle nuove disposizioni entrate in vigore ieri con DL 25 marzo 2020, n. 19, che ha introdotto novità legislative principalmente relative alle sanzioni applicabili, ma non solo. Il web si è scatenato con caricature e meme, che ci aiutano a superare il momento difficile con quel pizzico di ironia necessario per sfuggire, seppur per qualche istante, alla preoccupazione del momento. Il modello, sempre aggiornato, è disponibile a questo link. Abbiamo sempre fatto del nostro meglio per dare ai nostri clienti un servizio di qualità, e in questo periodo di difficoltà dovuto all'emergenza sanitaria in corso vorremmo renderci utili pubblicando informazioni, documenti, news e quato possa essere d'aiuto a chi vorrà seguirci.
Abbracciamo tutti coi con un augurio che tutto ciò possa durare ancora poco e che si possa tornare alla normalità nel più breve tempo possibile. |
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